Una parola: “finestra”

                                                          Messina, 7 aprile 2020

di Annalisa Irrera

Ogni giorno ci soffermiamo con alcuni amici a riflettere su una parola.

Una parola che vorrei proporre è “finestra”.

Prima dell’otto marzo, giorno in cui ho preso coscienza del pericolo per ciascuno di noi causato dal nemico invisibile chiamato corona virus, penso di non essermi mai accorta del vantaggio di avere una finestra da cui affacciarmi.

È la prima cosa che faccio ogni mattina ancor prima di prendere il caffè. 

La finestra da cui mi affaccio sporge su una via prima molto trafficata soprattutto per la presenza di un centro per le scommesse oltre un ufficio postale e una farmacia. 

Adesso il centro scommesse è stato chiuso e le due file si snodano verso l’ufficio postale e la farmacia. Quasi tutti indossano la mascherina ma non sempre si rispetta la distanza di un metro e mezzo tra un persona e l’altra.

 Lo sguardo poi sale verso i palazzi di fronte con alcune finestre ancora chiuse e altre già spalancate per il raccomandato ricambio dell’aria. 

Ancora più su, sopra le terrazze e i campanili dai rari rintocchi, il mare e la Calabria.

 Il mare dai colori argentei sempre variegati e mai uguali solcato da rare imbarcazioni, questa striscia di acqua che separa la Sicilia dal resto del mondo è la misura dell’isolamento a cui tutti siamo sottoposti.

Sopra tutto sovrasta il cielo ora nuvoloso ora di una limpidezza che sembra farsi beffa della nostra reclusione forzata.

I rumori della città ancora addormentata sono come soffocati, solo la sirena dell’autoambulanza è nitida, il resto arranca a svegliarsi su un giorno uguale a ieri.

La finestra sul mondo si apre su uno scenario di bellezza straordinaria che noi umani abbiamo dimenticato di custodire.

La finestra porta luce in casa e sui miei cari con cui condivido questi arresti domiciliari. Mi accorgo allora della fragilità, del bisogno di gentilezza e di carezza.

Poi la finestra su di me. Sono turbata a guardarmi, cerco di riconoscere la persona che sono o che sono diventata. Sento qualcuno che da dentro mi chiama con voce sottile e mi sussurra “non sei sola!”.

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