di Domenico Bilotti
Gaetano Silvestri, giuspubblicista e Presidente emerito della Corte costituzionale, iniziava il suo intervento a un affollato convegno messinese di qualche anno addietro dichiarando inequivocabilmente che le beatitudini evangeliche non coincidono coi principi fondamentali della Costituzione. Se uno Stato si intestasse di recepire dei precetti religiosi in quanto tali come obbligatorie regole di condotta, perderebbe il suo carattere laico. È una considerazione che riguarda le fonti, le competenze, la giurisdizione. Le beatitudini sono cosa molto diversa dai principi fondamentali, non perché assiologicamente dispongano qualcosa di estraneo alla cultura dello Stato di diritto o perché esso non sia comunque ideologicamente debitore del solidarismo cristiano e del pluralismo culturale personalista. La fede, anche nella sua richiesta di riconoscimento pubblico, può avere valenza universale e rivolgersi all’umanità; nel contesto dei diritti della persona e della cittadinanza, tuttavia, non può essere imposta, persino veicolasse (come nel caso) i più alti contenuti di partecipazione, umiltà e cooperazione.
Che le scelte di fede non potessero risolvere in se stesse il novero complesso degli obblighi relazionali umani era ben chiaro al teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, uno dei più significativi oppositori al regime nazista negli anni Quaranta. Durante il governo nazionalsocialista, base e vertice delle Chiese non erano stati in grado di fronteggiare efficacemente le restrizioni, i genocidi, le limitazioni, l’autoritarismo. In altre parole, una collettiva mancanza di libertà e di giustizia. L’associazionismo cattolico si era opposto e si opponeva al nazismo in sue articolazioni specifiche, ma non rappresentava uno stabile banco di contrasto di massa. La Chiesa luterana si era divisa (perlomeno) in due. Una Chiesa patriottica nazionale, proclamandosi ulteriore ai regimi istituzionali, tuttavia rischiava di diventare una silenziosa obliteratrice dei provvedimenti del Reich. La Chiesa confessante, alla quale Bonhoeffer aveva aderito, proseguiva nell’evangelizzazione dal basso, nella difesa degli ultimi e dei diritti, ma non ebbe nemmeno essa la forza (purtroppo, al tempo, anche “forza militare”) di scardinare il nazismo prima che questo portasse a compimento i suoi crimini peggiori.
Bonhoeffer fa lieve e insieme profondissima compagnia in questi mesi difficili in cui il bene della vita è strattonato per giustificare questo o quel provvedimento, ma è nei fatti il bersaglio più colpito da tutti. Da una politica internazionale che non ha collaborato e non ha informato per tempo, da una gestione sanitaria indebolita da tagli e persino corruttele, impreparata alla diagnostica di massa, da una politica interna che ha trovato più semplice mappare limitazioni e interdizioni a tappeto, lasciando però inalterate tutta una serie di attività industriali non meno rischiose e problematiche.
Bonhoeffer difende il dialogo ecumenico e quello interreligioso, perché ritiene che le persone di buona volontà debbano agire di concerto, a prescindere dalle loro culture (anche) religiose di appartenenza. Non ha sentimenti vendicativi verso i confratelli che, pur pavidamente, rifiutano ogni opposizione a Hitler e anzi avallano la continuità dell’apparato di Stato. Nel diritto ecclesiastico tedesco, c’è qualche traccia del contenzioso processuale tra i “patriottici” e i “confessanti” (soprattutto in materia patrimoniale e disciplinare): al teologo antiautoritario, che pure da pastore ha conosciuto e visitato comunità di tutti i tipi e ne coglie limiti e virtù, questi aspetti interessano marginalmente. Bonhoeffer osa addirittura il coraggio del cuore, quella valvola di empatia e lucidità insieme che spinge il genere umano tutto oltre gli ostacoli: chiede al buon cristiano (al buon credente, aggiungeremmo) la responsabilità della laicità; il pensarsi di una comunità che, grozianamente, deve darsi regole di protezione e salvaguardia anche se “un Dio non esistesse”. Ne capiamo il perché: se mettiamo Dio non al centro della nostra fede, ma al centro dell’esercizio dei diritti pubblici, che strumenti avremo per contrastare una gerarchia religiosa che scegliesse di far piazza pulita di una minoranza? Nessuno, o quasi: avremmo finito col ritenere una Scrittura o, peggio, un’interpretazione della Scrittura vincolante contro la dignità umana.
Sempre più spesso siamo costretti a pensarci come il pastore di un bellissimo aneddoto epistolare di uno scritto di Bonhoeffer: davanti all’auto che procede a furiosa velocità contro i pedoni che attraversano la strada, non possiamo limitarci a seppellire i morti. Ci spetta, più impegnativamente, più religiosamente, di provare a togliere il conducente dal mezzo, a fermare quella macchina. L’auto è la tirannia, il guidatore è il despota. Da persone di fede, abbiamo il compito civile di paralizzarne i soprusi; da laici, ci è chiesto di evitarne i lutti e le sciagure come se fosse il più impegnante degli obblighi “religiosi”.