di Antonino Mantineo
Ieri il giornale l’Avvenire ha fatto dire a tanti, me compreso: possibile che il giornale cattolico italiano abbia più coraggio di tanti fogli di sinistra? Possibile che dal quotidiano cattolico si levi una proposta chiara, inequivocabile per affrontare il dopo pandemia mettendo al centro della riflessione collettiva il lavoro come diritto universale, e la richiesta di una retribuzione giusta e dignitosa? E che la stessa materia sia sempre marginale, se non rimossa, nel dibattito politico e, soprattutto, non compaia ancora tra i provvedimenti con i quali saremo costretti a misurarci per restituire una economia sana, ma anche fondata su principi di giustizia sociale e di redistribuzione della ricchezza alla comunità nazionale?
Sono domande che vorremmo condividere con tutti.
Il messaggio dell’Avvenire rilancia l’appello che Papa Francesco ha rivolto a tutti coloro che hanno responsabilità di governo: un salario dignitoso per tutti.
La ricetta con cui si può concretizzare quest’ultimo obiettivo non può che iniziare da una redistribuzione del lavoro assicurato ad ogni donna ed uomo, a cominciare dai giovani che non lo hanno avuto mai, e da coloro che lo avevano perso, anche prima della pandemia o dopo. Una redistribuzione che sia preceduta da una riduzione dell’orario di lavoro degli occupati per favorire l’ingresso al mondo del lavoro degli esclusi.
Offrire a tutti un lavoro dignitoso è possibile e non è un’impresa illogica, né contraria alle regole del mercato.
Già negli anni settanta del secolo scorso, quando l’automazione, la robotica e le nuove tecnologie applicate ai processi industriali e ai servizi diminuirono drasticamente l’offerta di lavoro, vi fu nel mondo sindacale e nel mondo politico chi avvertì la necessità che si riducesse il monte ore lavorativo di ciascun lavoratore, per allargare il mercato del lavoro a più persone. E ciò a parità di reddito.
Ragioni economiche che possano negare o ostacolare questa grande innovazione di civiltà sociale e giuridica non ve ne sono. Il nostro Paese, per altro, ha bloccato tutti i contratti di lavoro di tutti i settori, privati e pubblici, mentre i profitti delle imprese sono cresciuti, come le retribuzioni per un gruppo ristrettissimo di manager delle pubbliche amministrazioni come delle imprese private.
Conosciamo bene che molti settori economici sono in ginocchio e che la loro ripresa sarà lenta, irta di difficoltà. Ma non si può ancora una volta penalizzare il lavoro ed i lavoratori. Meno ancora si può consentire che il mercato si ri-costituisca con l’estensione e il mantenimento della precarietà lavorativa.
Il primo segno di solidarietà sociale nel mondo del lavoro si abbia da parte degli imprenditori di tutti i settori, attraverso un “Patto del lavoro” che ponga i diritti dei lavoratori, accanto al loro dovere, che è, anche, atto di responsabilità civile ed etica, di ricostruire il tessuto economico su nuove basi: la prima quella di garantire una retribuzione giusta a tutte le donne e gli uomini in età lavorativa.
Al Patto deve partecipare lo Stato-economico e tutti gli enti territoriali, soprattutto in quelle attività che pure si rendono necessarie per mettere in sicurezza il Paese.
La prima autentica sicurezza richiede un grande investimento per rendere il Sistema Sanitario nazionale e in grado non solo di curare, ma anche di fare prevenzione, di fare ricerca medica e farmacologica. Ed è questo un sicuro settore in cui tanti lavoratori si rendono necessari, molti di più di quelli che oggi sono occupati.
La seconda è mettere in sicurezza l’ambiente e il territorio: mettere in sicurezza le scuole e gli edifici pubblici. Disinquinare fiumi, torrenti, laghi, mari, aria, boschi. La sostenibilità ambientale è un grosso investimento necessario per il nostro Paese, attraversato nel tempo da speculazioni, inquinamenti ambientali da industrie che hanno avvelenato ed ucciso, dalla violenza continua sulla natura e dalle catastrofi che poi, in qualche modo, abbiamo noi stessi favorito. Fare un investimento di risorse per favorire ed allargare il numero di occupati nella cura dell’ambiente ci renderebbe un Paese non solo ricco di storia e di bellezza ambientali e culturali, ma renderebbe questo immenso patrimonio fruibile in modo responsabile e sostenibile.
Una postilla. Abbiamo sentito i responsabili delle tre grandi organizzazioni sindacali, il primo maggio insistere sul fatto che si deve aprire una stagione nuova di diritto e garanzia del lavoro e dei lavoratori.
Si faccia da parte loro un passo deciso in questa direzione: si lascino le ragioni di distinzione e di separazione e si formi un grande, unitario organismo di rappresentanza che possa concorrere con proposte precise e nei tempi brevi a realizzare il Patto del lavoro, come base per il suo rilancio nel segno dell’equità.
Se ripresa si vuole auspicare nella ricostruzione sia nel segno della giustizia sociale.
Altrimenti non chiamatela ripresa e ritorno alla normalità. Perché di normale, quando ci siamo imbattuti nella pandemia, non trovavamo proprio nulla. Quella normalità fondata su ingiustizie, marginalità, diseguaglianze non ci piaceva, né mai ci potrà trovare da quella parte.
Ed allora salutiamo la straordinarietà di vedere che finalmente il giornale dei cattolici sceglie in questi drammatici giorni da che parte stare. Quella degli ultimi. Noi vorremmo che sia la politica e l’economia si adoperino per rendere concreta ed attuale questa opzione.
È sempre e solo il mondo cattolico che può dare risposte concrete ai problemi del lavoro per tutti, perché il pensiero dominante dei cattolici si traduce nel motto: “Cercare il bene comune “. Questo può essere possibile quando viene rispettato il nostro prossimo, quando c’è più educazione, quando si cerca l’unità alla divisione. Infine non dimentichiamo ciò che ha fatto PIO IX, circa 150anni fa, con la sua Enciclica RERUM NOVARUM, una pietra miliare nei diritti dei lavoratori.
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