di Luigi Mariano Guzzo
Ciascuno di noi ha la “sua” Betlemme. Che corrisponde allo spazio e al tempo che abita. Perché è lì, in questo spazio e in questo tempo, che l’evento del Natale si rinnova: un Dio che irrompe non tanto nella storia dell’uomo, ma nelle storie degli uomini. Al plurale, sì, lo comprendiamo di più il mistero del Natale. Gli orditi delle singole esistenze individuali, che si inseriscono nelle trame delle relazioni con gli altri, rappresentano tante diverse “mangiatoie”, che attendono, con ansia, trepidazione, desiderio, quella “grande gioia” annunciata dagli angeli ai pastori.
La “mia” Betlemme, quest’anno, è una Catanzaro “rossa”, segnata dalla paura e dall’ansia del contagio, come tutte le città nel resto del mondo, nel bel mezzo di una pandemia globale. Ma anche altre sono le ferite aperte, che sanguinano. Mi riferisco alle periferie disagiate e abbandonate, ai giovani senza occupazione, agli anziani sempre più soli, alle famiglie divise dalle emigrazioni delle nuove generazioni verso il Nord. Eppure, tutto ciò non basta ancora. Gravi difficoltà economiche, anche per crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, hanno colpito importanti strutture socioassistenziali e sanitarie del territorio, poli di eccellenza a livello nazionale: per migliaia di famiglia è un Natale di forte preoccupazione.
Com’è difficile, quest’anno, far risuonare nella “nostra” Betlemme, nelle nostre vite individuali e sociali”, l’annuncio della “grande gioia”! Eppure, non c’è augurio più bello: di una nascita che è, poi, in fin dei conti, una rinascita. Di una città, di un paese, di un mondo finalmente liberato e libero dalla malapolitica, dalla corruzione, dalle mafie, dalle massonerie. Per un Natale all’insegna della pace, della libertà, della gioia.
Auguri a tutte e a tutti, dalla “mia” Betlemme, per ciascuna Betlemme della terra.