di Luigi Mariano Guzzo
Silvia Romano. Ed un punto fermo che dobbiamo mettere: Silvia rappresenta tutto il bello che la nostra società può offrire al mondo.
Ora andiamo daccapo: sarebbe splendido se questa bellezza inondasse quanti oggi, a proposito di Silvia della sua vicenda, affermano “se l’è andata a cercare” o altre cose simili …
Non dividiamo il mondo in buoni e in cattivi, in chi la accoglie e in chi, invece, almeno a parole, l’avrebbe volentieri lasciata in Somalia. Polarizzare in maniera così netta la società, credere ancora nello scontro tra amici e nemici come dinamica politica e in quello tra civiltà come dinamica geo-politica, non ha nulla a che vedere con la grammatica di valori e di ideali alla base delle scelte di Silvia e di tanti altri giovani che partono per i Sud del mondo, con il desiderio di offrire una mano di aiuto e di solidarietà. In una parola: un sorriso.
Già, quello stesso sorriso di Silvia che abbiamo conosciuto sin dalle foto che venivano diffuse immediatamente dopo il suo rapimento. E che adesso ritroviamo stampato sul volto di questa minuta ragazza che scende sulla pista di atterraggio di Ciampino, dopo un anno e mezzo di prigionia. Che dice: sto bene, sia mentalmente che fisicamente.
Ed è quel sorriso, a dire il vero, a spiazzare. Noi che, dalla torre d’avorio dell’Occidente, aspettavamo quest’occasione per lanciare il nostro grido di superiorità morale nei confronti di popoli, mondi e culture che stanno al di là del Mediterraneo. Ma scende Silvia dall’aereo, una di “noi”, che avevamo quasi assolto dal peccato di essere andata a casa “loro”, e la ritroviamo vestita come “loro”. Quasi in spregio – ci viene da pensare – ai nostri abiti e alla nostra cultura occidentale. Ed ecco che riaffiora una componente fondamentale, questa sì, dell’Occidente, l’anima liberista, devota al dio denaro, alla massimizzazione del profitto e alla monetizzazione della persona umana: il riscatto, i soldi, le tasche mie e di tutti… O addirittura si fanno avanti ipotesi molto fantasiose, come quella di chi ritiene esserci un collegamento tra la liberazione di Silvia, la collaborazione dei servizi segreti turchi e il tentativo di Erdogan di islamizzare l’Africa. Che poi il nesso di causalità tra questi fatti sia difficile da sostenere e da argomentare conta ben poco. L’importante è comparire (e apparire). Lo insegna l’Occidente.
Ma là, dall’altra parte del muro di certezze che abbiamo costruito, c’è Silvia. Che semplicemente sorride. Di un sorriso che disarma da ogni parola di odio, di vendetta, di rancore, di risentimento che avremmo volentieri lanciato come bombe addosso ad un nemico. No, non può e non vuole essere Silvia il vessillo che l’Europa sventola sull’Africa. Da “cooperante” ha donato la sua vita a costruire ponti tra culture, si è fatta un anno e mezzo di prigionia per rimanere fedele a questa scelta, e non può e non vuole essere lei la bandiera che riscatta e riabilita l’Occidente dai soprusi nei confronti dei Sud del mondo.
C’è distanza tra Silvia e noi. Ma invece di pensare che forse siamo noi davvero distanti da lei – e, perché no, faremmo bene a tentare di avvicinarci – preferiamo additare lei come ad una voluta e maliziosa distanza da noi. Perché quel sorriso, in fin dei conti, non ce lo riusciamo proprio a togliere dalla testa. E’ un colpo inferto alla virilità maschile del modello occidentale. Silvia è una donna che dice di resistere, di essere forte, di stare bene, tanto da trovare, in una situazione del genere, il coraggio di sorridere. E che addirittura rivendica la sua libertà in materia di scelta religiosa. E lo fa senza esibire muscoli. Anzi, il contrario. Tutto questo è proprio inaccettabile per una cultura, la nostra, che per millenni ha dissociato le sfere della forza, della volontà, della libertà da quella del femminile. E allora non c’è altra strada che non sia quella di insinuare il solito tarlo del sospetto a cui siamo finanche troppo abituati quando non comprendiamo le scelte di una donna: relazioni d’amore, gravidanze, situazioni sentimentali. L’uomo occidentale, quello con i muscoli, che attacca la donna libera, forte e coraggiosa, che non ha muscoli da esibire, arriva persino a paragonare un anno e mezzo di prigionia con esperienze di turismo sessuale. E qui si tocca il fondo.
La verità è che Silvia fa paura. Ci fa tremendamente paura. Apre gli armadi dei nostri scheletri e porta i nostri fantasmi a rendersi presenti. Non parla, semplicemente sorride. D’altronde, noi abbiamo parlato e parliamo tanto: di altruismo, di solidarietà, di aiuto verso il prossimo, e via dicendo. Lei, al contrario, ha preferito agire: è andata in Africa, con tutti i rischi del caso. Ha messo la sua vita, il suo esempio di vita, prima di tutte le parole che avrebbe potuto spendere. In lei, come in uno specchio, vediamo tutto ciò che non siamo. E questo specchio è una donna; una donna forte, coraggiosa, libera, leale con la sua scelta di vita. Silvia rappresenta davvero tutto il bello che la nostra società può offrire al mondo.